FOTOAMATORI
Parco
del Valentino. Gustando un gelato, transito nei pressi d’una
panchina occupata da tre uomini e due donne.
"Il
mio ha una lunghezza di 20 centimetri !" Dichiara
compiaciuto uno dei giovani.
"Il
mio, invece, arriva a 24 !" Proclama trionfante un altro.
Breve
pausa scandita dal sorriso di sufficienza del terzo che, congiungendo
le mani a formare un cerchio, "Non ve li sognate nemmeno i
servizi che riesco a fare col mio gingillo da 30 centimetri".
Per poco
il cono non mi sguscia di mano. Non tanto per le sconcezze sentite,
quanto per l’ascolto passivo al limite dell’indifferenza
ostentato dalle ragazze. "Che mondo !" penso "
Dove mai andremo a finire di questo passo ?"
"Adesso
ve lo mostro" aggiunge quello che aveva parlato per ultimo.
Mi
dispongo ad accelerare per allontanarmi al più presto da un siffatto
porcile, quando il ragazzo apre un borsone e ne estrae un
teleobiettivo.
Ecco uno
dei tanti equivoci ingenerati dai neofiti della fotografia. Sarebbe
bastato che i disgraziati si fossero espressi ricorrendo al termine
di "focale" e la degustazione del gelato non ne avrebbe
risentito.
I
dilettanti alle prime armi. Ecco la peggior croce dei fotoamatori
evoluti e la maggior delizia di chi commercia in fotocamere ed
accessori !
Per non
colpire la suscettibilità degli esordienti confesserò che anch’io,
da ragazzo, ho commesso più di qualche imperdonabile bestialità.
Completamente digiuno di fotocognizioni, m’ero arrischiato a
comprare la prima fotocamera della mia esistenza. Un apparecchio da
pochi soldi che il negoziante mi aveva rifilato posandolo
furtivamente sull’angolo più remoto del bancone. Con estrema
timidezza gli avevo chiesto spiegazioni circa l’uso e quello,
visibilmente infastidito, aveva affiancato alla macchina un rotolino
di pellicola per poi liquidarmi con la scusa che all’interno della
confezione avrei trovato tutti i necessari chiarimenti.
Con
l’innocenza dei miei dodici anni, seguendo alla meno peggio le note
striminzite del misero foglietto che accompagnava la fotocamera,
riuscii ad introdurvi la pellicola per poi correre a scattare di qua
e di là. Non vedevo l’ora di ammirare i negativi, ma nessuno mai
mi aveva spiegato che, per ottenerli, avrei dovuto far sottoporre a
sviluppo il materiale sensibile. Mi ritrovai per le mani una lunga
striscia bianca che corsi a mostrare al rivenditore quale prova
inoppugnabile del mal funzionamento dell’apparecchio. La scenata
che dovetti sorbirmi fu tale da lasciare tracce indelebili nella mia
psiche; anche perché lo sciagurato commerciante non mancò di
raccontare la cosa a cani e porci. E ci fu, tra questi ultimi, chi si
distinse a riecheggiarne la beffa; per l’esattezza un mio lontano
cugino. Sul momento non potei fare a meno di considerarlo una gran
carogna; avrei capito più tardi che il poveretto agiva a quel modo
per far dimenticare ai suoi amici di aver scattato ben tre rullini
sullo schermo televisivo servendosi del flash.
Chiunque
nelle mie disperate condizioni si sarebbe affrettato a scegliersi un
altro hobby; curando, almeno agli inizi, di praticarlo lontano da
occhi indiscreti. Testardo come sono non volli mollare ed alla fine
vidi i miei sforzi coronati dai primi successi. I fotogrammi che
sfornavo restavano tali da rendere arduo, anche per gente della
"scientifica", individuare sesso ed ambienti dei soggetti
ripresi, tuttavia, quantunque sfocate, mosse, sotto o sovraesposte,
già quelle immagini arrivavano a riprodurre quarti di volti.
Trascorso qualche anno, le facce dei parenti che mi facevano da
cavia, già risultavano meno evanescenti e, quantunque ancora
ectoplasmatiche, ne avrebbero consentito l’identificazione a chi
solo avesse avuto la pazienza di soffermarsi per qualche ora su
questi miei incoraggianti risultati.
Oggi è
tutta un’altra musica. Non è che io abbia fatto chissà quali
progressi, ma li ha compiuti la tecnica.
Siete
cecati al punto da non distinguere un c. tra i microprismi del
pentaprisma ? No problem ! C’è la messa a fuoco automatica. Le
mani vi ballano peggio che se foste alle prese con un frullatore ?
Esistono obiettivi in grado di effettuare comunque la ripresa. Non
capite una mazza di misurazioni esposimetriche ? Non è proprio il
caso di disperarsi; i produttori di settore continueranno a sfornare
fotocamere dotate di un sempre maggior numero di programmi fatti
apposta per trarvi d’impaccio. E se scoprirete di avere una vera
fobia per le operazioni in camera oscura non avrete che da scegliere
tra le nuove compatte APS e la fotografia digitale.
Naturalmente,
dopo aver manipolato per qualche tempo i nuovi costosi prodotti delle
moderne tecnologie, un residuo di buon senso (o, se preferite, la
voce della coscienza) insinuerà qualche dubbio sull’attesa bontà
delle vostre performance di maghi dell’obiettivo. Ma le riviste di
settore non tarderanno a rimuovere qualsiasi ripensamento capace di
indurvi ad abbandonare un hobby tanto redditizio per le industrie che
ve ne forniscono i mezzi. Vi proporranno, come esempi di suprema
perfezione, immagini ispirate alla tecnica del "mosso",
riprese oblique al punto da far supporre che chi le ha scattate abbia
il dono di starsene incollato su di un piano inclinato, scene di
strada in grado di cogliere artisticamente la banalità dell’ambiente
e, per i dilettanti malati di perfezionismo, ritratti; soprattutto di
anziani dove, con la scusa del micro e del macrocontrasto, i tratti
della zia Adelina perderanno i connotati che ci sono tanto familiari
per assumere la rugosità d’una zucca modellata sulle sembianze
dell’uomo di Similaun.
Quando,
ormai stanchi di riprese ispirate alla denuncia ambientalista o
sociale, non saprete più che cavolo fotografare i periodici
specializzati vi indirizzeranno sadicamente alle delizie della
macrofotografia. Collezionerete un numero incredibile di stampe in
cui campeggeranno i più rivoltanti esemplari di coleotteri e, se non
bloccherete per tempo siffatta forma di demenza, finirete per
decorare con immondi poster le pareti del salotto domestico.
Il guaio
è che oggi, in fotografia, al pari di tanti altri rompicapo del
tempo libero, sono venuti a mancare gli input del più sano
pionierismo d’un tempo.
Prendete
il teleobiettivo. Una volta sì che aveva una funzione. Lo si
acquistava con un senso di colpevole palpitazione fantasticando sugli
impieghi proibiti cui destinarlo. Al calar della sera, una volta soli
in casa, lo si piazzava su di un robusto treppiedi, si avvitava il
flessibile alla macchina e si restava in peccaminosa attesa che la
prosperosa dirimpettaia svelasse (almeno in parte) le proprie grazie.
Oggi, tra il crescente diluvio di pornocassette, non c’è demente
disposto a ripetere simili imprese. Chi acquista una fotocamere
sembra disposto, tutt’al più, a dotarla d’un misero zoom; una
piccola variazione focale che gli consenta la ripresa del cane del
vicino quando la presenza di un parapetto (o altro analogo accidenti)
ne renderebbero impossibile l’identificazione.
In
compenso si abbonda in grandangolari, meglio se super ed in grado di
apportare deformazioni tali che, una volta fotografati, faranno
assumere ai soggetti le caratteristiche proprie degli appartenenti
alla grande famiglia Barnum. La moda delle focali ultracorte non
risparmia nemmeno le foto-ricordo dei matrimoni, al punto che chi è
assolutamente digiuno di fotografia potrebbe ritenere bene assortita
l’unione del tizio dalla testa smisurata con la rachitica
biancovestita che s’intravede sullo sfondo.
Il
traffico che tutto soffoca e nasconde, la stessa standardizzazione di
usi, abbigliamenti e costumi sono giunti al punto da rendere
decisamente rara l’occasione di effettuare per strada qualche buona
ripresa. Quando tuttavia essa si presenta vi darà modo di
distinguere il fotografo evoluto da quello che tale non è.
Poniamo
che due individui se le stiano suonando di santa ragione mentre
s’aggirano nei paraggi soggetti di entrambe le tipologie. Il
secondo effettuerà una serie di scatti tra i quali non è detto che
non ne risulti uno in grado di riprodurre l’evento. Il primo,
tecnologicamente ultrafornito, prima di decidersi al clic rovisterà
tanto a lungo tra gli accessori della tracolla che la riconciliazione
dei contendenti lo troverà ancora incerto ed indaffarato sulla
scelta delle ottiche e dei filtri più appropriati a riprendere la
scena con tutti i crismi della perfezione.
Tra i
praticanti di questa nobilissima arte si annidano poi elementi in
grado di arrecare al prossimo danni psicologici notoriamente
irreversibili. Personalmente, quando incappo in qualcuno che sospetto
propenso alla raccolta di diapositive faccio di tutto per far perdere
le mie tracce. Se lo intravedo per tempo non esito a cambiare strada,
anche se comprensibili impellenze mi stessero guidando all’agognata
conquista d’una latrina.
Ecco a
cosa porta il ricordo d’una "serata" tra le più sofferte
che mi sia capitato di dover sopportare.
L’imboscata
della quale fui vittima insieme ad una mezza dozzina di altri
sventurati era stata architettata con sadica perizia da un tizio che
pare ami viaggiare al solo scopo di sparare diapositive da sottoporre
a quanti commettono la leggerezza di fare la sua conoscenza.
L’invito
ad un rinfresco per festeggiare la nuova abitazione si sarebbe
rivelato un micidiale tranello. E mentre gli ignari convenuti si
soffermavano a trangugiare spumante e salatini il mio sguardo correva
inquieto al robusto trespolo piazzato contro una parete. L’aggeggio
che questo sosteneva restava pudicamente celato da una copertura in
plastica ma il cavo elettrico che da questa fuorusciva, simile alla
coda d’una grossa chiavica e la spiccata protuberanza anteriore
lasciavano poche speranze che potesse trattarsi d’uno strumento
diverso da un proiettore .
Le
residue illusioni sulla possibilità che il nostro anfitrione ci
risparmiasse l’esibizione dei suoi capolavori caddero miseramente
quando lo si vide armeggiare con un grosso contenitore cilindrico dal
quale sbucò un grande schermo che l’altro s’affrettò ad
incollare al muro.
Masticando
amaro l’ultimo boccone del rinfresco ciascuno dovette trasportare,
simile ad una croce, la propria sedia sotto il bianco rettangolo e
disporsi ad affrontare l’agonia d’una esecuzione sulla cui
rapidità la pila di diapositive fuoruscita a tradimento da un
armadio lasciava ben poche speranze.
Il buio
della sala fu squarciato da un potente fascio di luce che proiettò
sullo schermo una sorta di lapide funeraria; una targa tra due gerani
che recava a pennarello la scritta "Viaggio in Puglia".
Allorquando
si trovano alle prese con situazioni che farebbero cascare le palle a
chiunque, le persone dotate di buon senso, se riscontrano
l’impossibilità di sottrarvisi per tempo, di solito riescono a
sopportare l’inevitabile. Impresa ardua con il regista del
"Viaggio" che, avendo incasinato (a bella posta ?) l’ordine
dei telaietti, ci lasciò sorbire per un buon quarto d’ora la
luttuosa immagine d’apertura.
Quando
finalmente lo spettacolo ebbe inizio gli astanti restarono
letteralmente sommersi dal lento susseguirsi di immagini ispirate ad
un unico tema: gli ulivi.
Si
partiva dai c.d. campi lungi (ovviamente uliveti) per poi passare dai
primi piani delle piante giovani agli arbusti secolari; senza
trascurare esaurienti zoomate sulle peculiarità delle cortecce e
sulle mille varianti relative alle propaggini delle radici.
Dopo
un’abbondante mezz’ora di proiezione tutti, immagino, dovevamo
aver smarrito il senso del tempo, scaraventati com’eravamo in
quella specie di universo ultraterreno. Mai, nemmeno per sbaglio, che
l’autore avesse inquadrato una qualche contadinotta o la familiare
ombra d’un casolare.
A
distanza di un’ora l’auspicata rottura della lampada mise fine ad
una tortura che sarebbe stato impossibile sostenere oltre.
Alla
riaccensione delle luci in sala i tratti degli invitati erano
visibilmente mutati, al punto che, se fossero stati ripresi,
avrebbero potuto figurare più che degnamente in quelle raccolte di
foto segnaletiche che di solito arredano le sale d’attesa delle
questure.
Quell’esperienza
m’indusse a riconoscere la validità delle accorate esortazioni con
la quali, da bambino, una mia vecchia zia quasi mi terrorizzava
ripetendomi alla nausea che dietro ogni persona dall'apparenza
normale poteva celarsi un pericoloso maniaco.
Mi
arrovellai a lungo (ed invano) per scoprire quale meccanismo mentale
poteva aver indotto un individuo (la cui attività, fra l’altro,
nulla ha a che vedere con la produzione e nemmeno con il commercio
dell’olio) a soffermarsi in modo maniacale su quelle piante
trascurando ogni altra attrattiva della regione (ivi comprese spiagge
rinomate anche per la presenza delle belle figliole che le
frequentano).
Meno
pericoloso per il prossimo, ma altrettanto enigmatico, quel malvezzo
che richiama la favola della montagna che genera il topolino.
Non
mancano, nel fotobestiario, casi di soggetti febbrilmente protesi
alla continua ricerca di accessori e fotocamere d’ogni tipo e
formato. Quand’anche metteste a loro disposizione un intero
edificio potete scommettere che, chiamati a fare qualche ripresa,
avvertirebbero di colpo la mancanza d’un qualche aggeggio del tutto
indispensabile al buon esito dell’operazione.
Quando
si spostano, magari per sparare qualche istantanea nel recinto del
vicino, recano sulle spalle pesanti borsoni traboccanti di un
armamentario più sofisticato ed abbondante di quello che normalmente
segue le grandi spedizioni scientifiche .
Con
gente del genere, per quanto impossibile possa sembrarvi, non
rischierete mai serate di proiezione. Né c’è pericolo che
insistano a mostrarvi album o poster. Potranno tormentarvi, in
compenso, con ampie dissertazioni di natura tecnica sulle
caratteristiche dei più insoliti e sconosciuti fotoammennicoli,
essendo la loro natura non molto dissimile da quella di quanti amano
parlare sempre e spesso del gentil sesso con il quale, tuttavia, è
raro che riescano a concludere qualcosa di buono.
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